La democrazia è scomparsa a Mira

Mira. Quando la democrazia dei “grillini” si misura con la realtà concreta del governo.

In un momento in cui il lavoro diventa la ragione essenziale del vivere, i giovani non hanno futuro se non va costruito, un momento in cui gli operai e i dipendenti (cui va la nostra piena solidarietà) non arrivano a metà mese e anche 20 euro mensili possono segnare la differenza tra restare a galla o affogare, la giunta “grillina” di Mira non mantiene i rapporti con le forze sindacali per discutere del fondo risorse decentrate dei dipendenti, per discutere dei 20 euro, rompendo i tavoli di trattativa. Mai era accaduto un fatto così grave. Le amministrazioni precedenti a Mira, oltre che programmare seriamente gli investimenti e garantire il welfare, centellinando ogni risorsa e preoccupandosi di trovarne, avevano sempre mantenuto un rapporto di partecipazione con i sindacati e rappresentanze cittadine per le questioni essenziali al bene della comunità. Rappresentanza e partecipazione sembrano ormai essere stati abbandonati dall’attuale giunta, nonostante fosse un loro presunto presupposto politico, a favore di scelte “autoritarie” e non condivise con i soggetti interessati. Del resto da chi afferma che “i sindacati sono inutili e vanno superati” non ci si poteva aspettare di “meglio”.

Ieri sera 150 persone, tra dipendenti comunali e cittadini, si sono accalcati nella sala consigliare con striscioni e legittime rivendicazioni anche di partecipazione; le opposizioni nel frattempo avevano presentato mozione di sfiducia sul fatto grave del “licenziamento” dell’assessora incinta (questione liquidata frettolosamente e scompostamente nei blog da qualche consigliere di maggioranza come “scherzo di carnevale”, ed ottenendo ulteriori polemiche da altro assessore della giunta), e per tutta risposta sindaco e presidente del consiglio “snobbano” la nutrita presenza di dipendenti e cittadini e a fatica fanno leggere il documento di sfiducia alle opposizioni (PD) passando immediatamente dopo ad altra discussione. Il risultato è che le opposizioni abbandonano l’aula, nel silenzio assordante dei consiglieri “grillini”, e i rappresentanti sindacali possono dire qualcosa solo al termine del consiglio! E il sindaco non assume nessun impegno se non un generico e offensivo “vedremo di ascoltare tutti” ma senza fissare ne date ne impegni seri per discutere del problema denunciato dai dipendenti comunali o assumere una chiara posizione sulla questione dell’assessora incinta e di altri annunciati “licenziamenti” di dissidenti (voce riportata dai quotidiani locali)! Anzi, si leggeva, il “grande capo” esortava ad andare avanti così! Altro che partecipazione! Altro che modo nuovo di far politica! E poco conta se ad ogni consiglio comunale potenzialmente dialetticamente acceso, sembra venga allertata la questura!

Nella discussione del consiglio: accuse alle precedenti amministrazioni su un piano norma legato alla realizzazione della metropolitana di superficie (con annesso sottopasso e nuova viabilità di alleggerimento verso la tangenziale per decongestionare il centro di Oriago, frazione di Mira), ma ben lungi dal bocciare (avendone facoltà) tale piano! Generiche raccomandazioni all’assessore competente di “vigilanza”, ma il voto al piano in discussione?: favorevole!!
Brutti e cattivi quelli che c’erano…. colpa loro se ci sono parcheggi da realizzare… ma loro non cambiano nulla, perché evidentemente non c’è nulla da cambiare! Bel modo di governare! E sulla loro idea di partecipazione è bene stendere un velo pietoso. In nove mesi l’unico spunto di discussione c’è stato nel consiglio del 12 febbraio: tema “i gettoni di presenza”. Le opposizioni fecero richiesta di rinunciare al gettone di presenza (36 euro per ogni riunione del Consiglio o di una commissione) da devolvere in solidarietà, pensando di trovare sponda nella maggioranza protesa ad affermare, solo a parole, tale principio. La proposta fu bocciata dalla maggioranza “grillina” con la seguente dichiarazione della presidente del consiglio riportata dai quotidiani locali: “Non facciamo politica gratis. Non rinunciamo ai gettoni di presenza in Consiglio comunale, visto che ci sono costi insopprimibili della politica. Non siamo dei volontari, ci assumiamo di fronte alla cittadinanza ogni giorno delle gravose responsabilità». Sembra la difesa d’ufficio di un vecchio esponente di partito. E già, perché alla fine ci si rende conto che far politica costa. E solo in quell’occasione, in 9 mesi di governo, per difendere il loro gettone di presenza, i consiglieri di maggioranza hanno preso tutti la parola. Per il resto il nulla.
Se il buongiorno si vede dal mattino…

Stefano Lorenzin, coordinatore provinciale
Sinistra Ecologia Libertà
Federazione di Venezia

Contro l’oscurantismo di una farsesca “caccia alle streghe”

Contro l’oscurantismo di una farsesca “caccia alle streghe”

Eravamo in tante mercoledì 18 luglio, e poi ancora giovedì 19, davanti a Palazzo “Ferro Fini”, per protestare contro la Proposta di Legge di iniziativa popolare per “Regolamentare le iniziative mirate ad informare sulle possibili alternative all’aborto” e sostenuta da Lega, dall’ UdC e da gran parte del Pdl. Eravamo scese in piazza per dire no a quella proposta di legge che ammette la presenza dei “movimenti per la vita”, all’interno degli ospedali e dei consultori.

Eravamo lì per difendere la Legge 194, legge che, nonostante la Corte Costituzionale si sia, recentemente, pronunciata sulla sua costituzionalità, continua a subire pesanti attacchi, prima in Piemonte, poi nel Lazio, ora nel Veneto.

Ebbene: il Consiglio della Regione Veneto dopo aver respinto, nella prima giornata di discussione, la richiesta di “non passaggio” agli articoli (equivalente, in sostanza, a un rigetto della legge) , proposta dal Presidente della Commissione Sanità Leonardo Padrin (Pdl), ha bocciato per un voto, nella mattinata del 19, l’art. 1 del P.d.L n. 3, relativo alla possibilità di fare informazione nei consultori e nei reparti di ostetricia con volantini e materiale pubblicitario, sulle alternative all’aborto. A quel punto la Proposta di Legge di iniziativa popolare era stata battuta.

Se nella medesima giornata, in serata, non ci fosse stato un farsesco epilogo, a buon diritto, Laura Puppato avrebbe potuto affermare: “È stato battuto l’oscurantismo che questa proposta di legge portava con sé”e avremmo potuto tornare a casa soddisfatte. Il tentativo d’attacco alla 194 sarebbe stato respinto, il principio di autodeterminazione della donna riaffermato

Ma quanto è accaduto, nelle ore successive in Consiglio Regionale, è difficile a dirsi se sia, a maggior diritto, ascrivibile alla “commedia degli equivoci” o al “teatro dell’assurdo”.

Il relatore della legge, Leonardo Padrin, è riuscito, con un colpo da maestro, a salvare la proposta di legge di iniziativa popolare. In che modo?

Semplice: mettendo, a punto, un emendamento sostitutivo, che “promuove la diffusione, la divulgazione e l’informazione sui diritti di cittadini in ogni ambito, in particolare con riferimento alle questioni etiche e della vita” . In sostanza una riscrittura della legge che finisce per mettere sotto attacco non solo la Legge 194/78, ma anche la Legge 40/2004 sulla Procreazione Assistita e le proposte di legge relative al “fine vita“ (testamento biologico).

Cambiato il titolo da “Regolamentare le iniziative mirate sulle possibili alternative all’aborto” in “Disciplinare le iniziative di promozione dei diritti etici e della vita nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie”, la legge è stata votata da una maggioranza trasversale (33 sì su 42 presenti) composta dai consiglieri di Lega, Pdl e PD (eccetto Mauro Bortoli, che ha votato contro). Ciò che era uscito dalla porta, è rientrato dalla finestra. Oltre alla beffa, il danno.

Persino il “preambolo” è rimasto il medesimo. Nel testo si legge “ In Italia, con l’entrata in vigore della legge n.194 […] sono sorti moltissimi movimenti e associazioni che hanno come finalità l’aiuto alle mamme che per le più svariate motivazioni si trovino in difficoltà con l’accettazione della gravidanza e pertanto sono orientate verso l’interruzione volontaria” .

Aiuto alle “mamme”? Il testo usa la parola mamma, ma ci è chiaro che stiamo parlando di una legge che si rivolge alle donne che intendono interrompere la gravidanza, che non intendono divenire “mamme, perché non possono o non vogliono farlo?

Il preambolo continua dicendo: “Questi movimenti o associazioni sono composti da volontari che svolgono la loro attività informativa cercando di incontrare le mamme in difficoltà così da proporre informazioni e forme d’aiuto alternative all’aborto, in sintonia con i dettami della legge stessa, legge che prevede ogni tentativo di dissuasione alla pratica d’interruzione volontaria di gravidanza” Ma la Legge 194 afferma che i consultori assistono la donna “informandola sui diritti a lei spettanti” (art.2) e “ove la donna lo consenta” la aiutano a “rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza”. Mai, e poi mai, la Legge 194 parla di “tentativi di dissuasione”!

Più oltre, si afferma “se ci fosse stata l’informazione corretta e doverosa avremmo salvato molti bambini e mamme che dopo lo shock dell’intervento si trovano a vivere con fortissimi sensi di colpa” . Non era sufficiente parlare di “mamme” per anticipare una decisione? Era necessario sostituire, anche, i termini “feto” ed “embrione”, con la parola “bambino”? Madri assassine, dunque, che, in quanto tali, non potranno che vivere “fortissimi sensi di colpa”. ..!

Nel silenzio di questo luglio, si è consumata un’antica “caccia alle streghe”, che ha assunto i caratteri di una rocambolesca farsa. Chiedo, allora, da “donna” a “donna“, da “compagna” a “compagna”, a Laura Puppato come si possa dichiarare “che è stato battuto l’oscurantismo che questa legge portava con sé”. Impariamo, almeno, a chiamare le cose per quello che sono e a usare le parole con chiarezza e onestà. Solo un’ecologia della parola potrà, allora, permetterci di dire che la parola “mamma” è parola bellissima ( così come la parola “bambino“, a cui si lega anche nel suo significato originario di “mammella”), ma, in quanto tale, non va usata strumentalmente a fini di una squallida propaganda ideologica. Solo un’ecologia della parola potrà farci affermare che le donne, in quanto “signore” (dal latino dominae) del loro destino, hanno il diritto – dovere di determinarlo.

Renata Mannise
membro Assemblea Regionale
Sinistra Ecologia Libertà Veneto

SEL aderisce all’Urlo della Scuola

(articolo originale)
volantino in .pdf

Sinistra Ecologia Libertà (SEL) aderisce all’Urlo della Scuola e invita tutti i suoi simpatizzanti/militanti che operano nel campo dell’istruzione ad attivarsi per organizzare iniziative di mobilitazione in ogni istituto per il giorno 23 marzo.
SEL ribadisce che le istituzioni scolastiche pubbliche sono essenziali per far crescere una cittadinanza attiva e consapevole e per far uscire il paese dall’attuale crisi economica, sociale e ambientale.

SEL  identifica cinque grandi priorità

1. Riduciamo lo spread generazionale
  La scuola ha bisogno di ridurre il divario generazionale fra studenti e docenti. I drastici e indiscriminati tagli agli organici, l’innalzamento dell’età pensionabile e il blocco delle assunzioni vanno esattamente nella direzione opposta.
L’ingresso di nuovi docenti deve essere favorito cominciando a nominare su tutti i posti disponibili, a stabilizzare i precari e a bandire concorsi periodici per i neo-laureati.
Sono da respingere, invece, i concorsi indetti dalle singole Scuole o Reti di scuole, come prospettato nella recente proposta della Regione Lombardia.

2. Realizziamo una scuola più accogliente
Si devono ricondurre le previsioni di organico nella Primaria al tempo scuola di 30 ore e garantire, almeno nelle quote già esistenti nel 2008, le classi a Tempo Pieno, favorendone la distribuzione anche nel Sud del Paese.
L’organico di sostegno ai disabili deve rispettare almeno il rapporto di 1 docente per 2 alunni.

3. Mettiamo al centro la sicurezza
Occorre sbloccare il Piano di Stabilità per gli Enti Locali, per quanto riguarda gli interventi di edilizia scolastica, a cominciare dalle situazioni prioritarie e a maggior rischio per la sicurezza (degrado, rischio sismico o ambientale, carenza di spazi e locali…).

4. Rilanciamo la qualità
Il rilancio della qualità deve caratterizzare l’azione in ogni ordine di scuola, anche valorizzando le tante buone pratiche ancora diffuse. In ciascun istituto, l’Offerta Formativa deve essere sostenuta assegnando un organico funzionale stabile per almeno un triennio. In particolare si devono rivedere le scelte compiute per la scuola secondaria superiore, dove i nuovi ordinamenti hanno mortificato alcune materie e ridotto le esercitazioni tecnico pratiche.

5. Valutiamo la Gelmini
È giunto il momento di fare un bilancio delle cosiddette “riforme” attuate dalla Gelmini. Bisogna sanare le ferite apportate ad alcuni ordini scolastici già riformati e ben funzionanti (scuole primarie), avviare una riflessione più complessiva sulla scuola  secondaria e rimuovere gli ostacoli posti al corretto funzionamento del sistema scolastico pubblico.

5 PRIORITA’ che richiedono INVESTIMENTI PUBBLICI urgenti: SEL propone di destinare una parte dell’extra gettito fiscale alla SCUOLA, per avviare il reclutamento di nuovi docenti e per gli indispensabili interventi di edilizia scolastica

Un 8 marzo “interrotto”

(articolo originale)

“Dramma della gelosia” a Verona. “Delitto passionale” a Brescia. Come se fosse stato l’estremismo dei sentimenti, come un po’ ad attenuare episodi che singoli non lo sono da tempo, ma che parlano di stragi di donne compiute dai maschi. Non per passione, non per gelosia. Per “ominitudine”, abitudine dell’essere uomo.

Mentre partecipavo a “Ragazze interrotte”, la due giorni organizzata dalla rete delle donne di SEL alla Casa internazionale delle donne, con tante compagne, tante storie, tante esperienze, tante ragazze con le quali abbiamo parlato di donne e non solo, si compivano nuovamente omicidi. Per niente passionali.

Perché non è passione la concezione proprietaria, l’ego di chi possiede, di chi lega a sé per una fedeltà dovuta, non importa se ricambiata. Non c’è niente di amore in quei delitti, ma solo l’atavicità machista di una concezione dei rapporti e delle relazioni impari, scontate e di un genere, quello maschile, che ancora non riesce a fare i conti con se stesso e con le distorsioni di un modello che vuole noi maschi “forti” in relazione al “sesso debole”.

Noi che facciamo politica, che ci spendiamo a parole, ma che non riusciamo a introiettare nulla e ad assumere poco per far irrompere sulla scena una discussione franca sui motivi, dovremmo ragionare una volta per tutte sulle radici di quel femminicidio. Perché partendo da lì, molto di più di quello che pensiamo, si può ragionare anche di un altro modello di società.

“Ragazze interrotte” ha provato a fare questo. Non è stata semplicemente la messa a fuoco di una condizione precaria che nasce e coincide con le giovani generazioni e si allarga a tutte le altre donne. E nemmeno la semplice e scontata rivendicazione della propria condizione esistenziale di donna in un mondo fatto a misura di uomo. E’ stato molto di più: il tentativo di partire dallo sguardo di una giovane donna sul mondo che vede interrotte aspirazioni, strade e percorsi, come un muro innalzato tra il presente e la possibilità di immaginarsi un futuro, per designare un mondo includente per tutti. Non per un soggetto sociale debole, non solo per i giovani o per le donne.

Mentre la politica si divideva tra Belen e Fornero, un gruppo di donne ha provato a ragionare su nuovi modelli di welfare, precarietà, rappresentanza, sulla crudeltà della crisi e su un modello di sviluppo alternativo, sostenibile, basato sulla cura e sulla riconversione ecologica. Perché la politica deve farsi carico delle proprie mancanze, di una cultura inadeguata per affrontare non semplicemente il problema – il femminicidio – ma la soluzione: mettere in campo un modello di società che parta da un paradigma culturale e politico esterno ed estraneo a quello proposto finora. Questa sarebbe la vera rottura del recinto in cui la crisi, l’emergenza e un certo moralismo ci hanno collocati.

“Ragazze interrotte” porta con sé questo grande messaggio. Perché le donne quel recinto lo hanno già implicitamente rotto da tempo. Basti pensare al lavoro di cura: non c’è un compromesso tra “produzione e riproduzione”, tra “capitale e lavoro” e, soprattutto, tra “etica e profitto”. Nel lavoro di cura, spesso, troppo spesso relegato alle donne, quel dualismo è già venuto meno. Le donne hanno svolto e svolgono quella funzione sociale – che è anche economica – superando ampiamente quel conflitto, in quanto viene svolto in maniera eticamente orientata.

Per anni abbiamo discusso modello di welfare disegnato con gli occhi del maschio, oscurando le necessità, le opportunità, le angolature di quello femminile. Un welfare caritatevole e assistenzialista, da una parte, a misura di uomo nei tempi e negli spazi, dall’altra. Adesso è venuto il momento di raccogliere la sfida non per dichiarare lo Stato sociale morto, ma per designarne uno all’altezza delle donne e degli uomini del nostro tempo.

La femminilizzazione del lavoro (che non si riferisce alla quantità di impiego della forza lavoro femminile, ma al fatto che le condizioni di lavoro imposte alle donne dieci anni fa sono quelle imposte a tutta la forza lavoro oggi, in particolare ai giovani) ha portato, nella sua brutalità, le giovani generazioni a capire e rendersi conto di quante vessazioni, problemi, mancanza di diritti e garanzie abbiano vissuto le donne dentro e fuori il lavoro. Perché essi stessi le vivono adesso. E per questo, tra i tanti strumenti individuati, il reddito di cittadinanza può essere il simbolo di una battaglia comune che non vede distinzioni di sesso in quanto viatico per un’autodeterminazione, un’indipendenza – dal e per il lavoro – che significa compiere un passo in avanti verso la riconversione di un paradigma di società patriarcale e machista che rischia ancora oggi di far pagare anche l’attuale crisi alle donne. Avviare un processo di liberazione servirà ad evitare di perdersi l’occasione di una modernizzazione non solo economico-finanziaria, ma anche socio-culturale, di tutte e tutti.

“Ragazze interrotte” è stato questo. Non solo un’esperienza forte, costruttiva o un arricchimento per chi come me ha potuto imparare molto più del contributo che ha provato a dare.

Peccato per la partecipazione di così pochi uomini, in particolare di nostri compagni di viaggio dentro questa esperienza chiamata Sinistra Ecologia Libertà. Sarebbe stato importante, soprattutto per noi e per loro, mettersi in discussione, ascoltare punti di vista diversi, angolature e spigolosità che, spesso, solo gli occhi di una donna riesce a mettere in luce. E anche per parlare di noi, di quanto spesso siamo portatori di un maschilismo introiettato, di automatismi in buona fede che reiterano comportamenti sbagliati anche nel nostro agire. Ci saranno altre occasioni, ma è il momento di provare noi stessi a metterle in pratica e non più ad aspettarle. Magari a partire da questo 8 marzo “interrotto”.

Marco Furfaro

Fiom: da SEL adesione convinta alla manifestazione

(articolo originale)

Il lavoro è alla base della nostra costituzione, ed è alla base di ogni democrazia compiuta; combattere per i diritti di chi lavora è un dovere per chiunque ritenga che la dignità della persona e la difesa dei principi di legalità, partecipazione e equità sociale siano i pilastri di una comunità libera e democratica.

Oggi questi principi sono insediati da molti pericoli, ed in particolare il precariato, la discriminazione, la perdita progressiva dei diritti di rappresentanza e tutela rendono ogni giorno i lavoratori sempre più fragili, alla mercé di un mercato che non accompagna più lo sviluppo sociale del Paese, ma anzi lo deprime, orientandosi verso logiche estreme di profitto che non producono né “capitale comune” né ricchezza condivisa e equamente distribuita.

Tutti gli indicatori socio-economici lanciano l’allarme, ed il tasso di disoccupazione e di precarizzazione del nostro Paese stanno raggiungendo cifre drammatiche. Lavoratori precari creano un Paese precario, senza futuro e senza crescita.

Per questo Sinistra Ecologia e Libertà è a fianco della FIOM, ed aderisce con convinzione allo sciopero proclamato per il 9 marzo prossimo per tutelare i diritti dei lavoratori del settore metalmeccanico, duramente colpiti da una logica che mira a mettere i discussione il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto e, con esso, i loro diritti individuali e condivisi; Saremo in piazza San Giovanni assieme al segretario Generale della Fiom Maurizio Landini ed alle migliaia di lavoratori per sollevare assieme a loro la nostra voce e difendere gli interessi dei lavoratori e del Paese.

Massimiliano Smeriglio

Sinistra Ecologia Libertà

Chioggia. Guarnieri aderisce a SEL

martedì 28 febbraio 2012
(fonte la Nuova Venezia)

Guarnieri passa al Sel di Vendola
L’ex sindaco dice addio a Democrazia: «Era un movimento locale»

CHIOGGIA – Addio Democrazia, l’ex sindaco Fortunato Guarnieri e i fedelissimi con cui aveva costituito il movimento due anni fa approdano a Sinistra Ecologia e Libertà di Vendola.

Qualche rumors era nell’aria da tempo, ma l’ufficialità del passaggio è arrivata ieri in vista del Consiglio comunale di domani in cui Guarnieri e Gianfranco Scarpa comunicheranno l’entrata in Sel. Un cambiamento non di poco conto se si pensa che di fatto il partito di Vendola si troverà ad entrare nel parlamentino chioggiotto malgrado il risultato elettorale non lo avesse permesso a maggio scorso. «L’esperienza di Democrazia è stata importante – spiega Guarnieri – ma è nata come un movimento locale, di reazione ad Pd in cui non ci riconoscevamo più, che ora ha consumato il percorso che si era prefisso. La maggioranza dei soci fondatori (15 su 20 ma non Laura Bonaldo che ha deciso di laurearsi e prendersi una pausa dalla politica, ndr) condivide con me l’idea di un passaggio naturale in Sel, l’unico partito che risponde alla nostra genetica, ai principi ispiratori della sinistra e che ha idee chiare sui temi importanti dell’agenda nazionale». Ieri Guarnieri ha comunicato la decisione anche al leader nazionale del Pd Pierluigi Bersani con una lettera in cui formalizza l’uscita dall’assemblea nazionale del Pd e le motivazioni. Il passaggio è stato benedetto dai vertici locali (Riccardo Ballarin e Giorgio Muccio) e provinciali (Valentina Dascanio) di Sel che ieri hanno preso parte alla conferenza stampa. «Non è una questione elettorale – spiegano Ballarin, Dascanio e Muccio – non ci sono scadenze in vista. E’ la maturazione naturale di un percorso nato dalla condivisione di prospettive. Noi tutti proveniamo dai Ds e oggi ci ritroviamo con gli stessi ideali di allora in un partito che ha posizioni ben precise su tutti i temi caldi in discussione. Con due consiglieri comunali rafforziamo ancora di più la nostra posizione in Provincia dove siamo la seconda forza di sinistra dopo il Pd».

Elisabetta Boscolo Anzoletti

martedì 28 febbraio 2012
(fonte il Gazzettino)

Guarnieri lascia il Pd e porta in Consiglio Sel

CHIOGGIA – Sel entra in Consiglio comunale con due consiglieri. Fortunato Guarnieri e Gianfranco Scarpa, attualmente consiglieri del gruppo “Democrazia”, ieri hanno ufficializzato il loro ingresso nel partito di Nichi Vendola. Il cambiamento è stato comunicato da tre dei fondatori del Gruppo Democrazia: Fortunato Guarnieri, Gianfranco Scarpa e Franco Zezza, oltre che dal direttivo locale e provinciale di Sel, composto da Giorgio Muccio, Valentina Dascanio (coordinatrice provinciale) e Riccardo Ballarin (coordinatore locale).

A spiegare le ragioni del cambiamento ci ha pensato Fortunato Guarnieri: «Il Gruppo Democrazia – afferma – era nato durante il periodo elettorale per dar voce ai tanti scontenti della politica del Pd. Abbiamo ottenuto un grandissimo risultato, segno che la gente ha capito la nostra proposta politica e ha deciso di appoggiarla completamente. Era inevitabile che confluissimo, per questioni ideologiche e di intenti, nel gruppo Sel. Manderò nei prossimi giorni una lettera a Pierluigi Bersani per dimettermi da membro dell’assemblea nazionale del Pd».

All’interno del gruppo Democrazia quasi tutti i fondatori, si parla di 15 su 20, hanno accettato di buon grado il passaggio a Sel. Al momento non è ancora chiaro cosa faranno invece gli appartenenti al gruppo che non intendono aderire al progetto del partito di Vendola. «Con il loro arrivo si va a ripristinare un percorso del tutto naturale – afferma Giorgio Muccio di Sel – siamo infatti tutti ex Ds e, ad oggi, l’unico partito in città che dà risposte ai principi ispiratori della sinistra è il nostro».

Marco Biolcati

Articolo 18, qual è la posta in gioco

Quando Monti afferma che l’art. 18 non è un tabù, e gli fanno eco tutte le voci del suo governo e della Confindustria, evidentemente fa riferimento ad una sorta di sacralità superstiziosa, che mal si addice ad uno degli istituti fondamentali del nostro diritto del lavoro.

L’art. 18 non è inviso agli imprenditori perché “impedisce “ i licenziamenti. Magari fosse stato così in questi anni nei quali si sono persi milioni di posti di lavoro, nonostante lo statuto dei lavoratori. Solo la contrattazione e la forza organizzata del movimento operaio potrebbe, in effetti, impedire i licenziamenti. Nemmeno è, però, una voce residuale, appendice quasi inutile ai fini della tutela dei diritti del lavoro, in un contesto dato di frammentazione e parcellizzazione dell’impresa, il cui sistema si fonda, dopo l’enfasi fordista della grande fabbrica, su una costellazione di micro aziende, per lo più sotto i quindici dipendenti.

Basterebbe ricordare che per la aziende sotto i quindici dipendenti le garanzie dell’art. 18, contro i licenziamenti ingiustificati e discriminatori, sebbene attenuate, si rinvengono nell’art. 8 della legge 604 del 1966 e che, cancellato l’art. 18, si aprirebbe la strada, immediata, alla cancellazione di questa forma di tutela anche nelle micro imprese.

Ma allora qual è la posta in gioco?
La posta in gioco è la sopravvivenza di un principio che è stato il fulcro della civiltà welfarista del lavoro nell’ambito delle democrazie europee, dopo il flagello del ventennio dei fascismi: il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro non può essere ricondotto, come dallo schema dell’ art. 2119 del codice civile, ad un semplice sinallagma contrattuale, nel cui contesto le parti si equivalgono.

Nel rapporto di lavoro la parte datoriale è per definizione la più forte e questo squilibrio andava corretto, mediante una norma a carattere speciale, qual’ è appunto l’art. 18, che introduce la possibilità di reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato, o di un suo risarcimento non bagatellare.

Togliere l’art.18, dunque, equivale a sovvertire i principi stessi della contrattualistica del lavoro, vanifica i contratti collettivi, di qualsiasi livello, e riporta le “relazioni industriali” di nuovo nelle pietraie formalistiche del libro V del codice civile e verso la prevalenza assoluta del contratto individuale, se non individualizzato.
Per non dire, ovviamente, che si ripristina, ri-legittimandola, la vergogna dei licenziamenti discriminatori, che già furono oggetto di censure costituzionali in chiusura del terribile periodo del dopoguerra italiano.

Questa è la posta in gioco, questo il “tabù” al quale non vogliamo smettere di dare un tributo di fede: che se il ventesimo secolo è stato il secolo delle dittature e della ferocia del capitale, questo dovrà essere, invece, il secolo dei diritti e dei beni comuni.

Roberto Del Bello
Coordinamento Provinciale, Sinistra Ecologia Libertà

Venezia. Inaugurato il circolo Pasolini

giovedì 19 Gennaio 2012
(fonte il Gazzettino)

Nasce un circolo dedicato a Pasolini

VENEZIA – Sinistra, Ecologia e Libertà ha inaugurato un proprio circolo culturale, dedicato a Pier Paolo Pasolini. «Un circolo politico che si occupi di cutura – ha esordito la coordinatrice Renata Mannise – ovvero un laboratorio aperto e in divenire, aperto alle collaborazioni e ai contributi di tutti. Il nostro partito non vuol essere asettico e burocratico ma presente in città, in una Venezia che guarda al passato ma città proiettata al futuro. In Pasolini, abbiamo rinvenuto tre acronimi che abbiamo fatto nostri: P come politica, passione e profezia». A palazzo Palumbo Fossati, sede della galleria d’arte «Michela Rizzo», dove è avvenuta l’inauguazione, la figura di Pasolini è stata ricordata in molte sue sfaccettature, grazie alle relazioni di Carlo Forte ed Emanuele Zinato, alla proiezione di alcuni documentari d’epoca e alle letture dal vivo di Gianni Moi e di Alessandra Prato. Pasolini è stato più volte dipinto come un intellettuale laico, artista e visionario, capace di profetizzare come la televisione avrebbe omologato le persone, distruggendo la poetica. «Fra pochi giorni Pasolini avrebbe compiuto 90 anni – è stato detto – ed in poco tempo, nell’arco di una sola generazione, si è passati dai “filò” alla televisione di massa, cara a Berlusconi». «Pasolini – ha concluso Bettin – rappresenta la figura un tempo in voga dell’intellettuale tuttologo; spesso ha scentrato gli argomenti di cui si è occupato, lasciandoci però un grande patrimonio saggistico e letterario».

Tullio Cardona

L’esecutivo Monti. Quando un governo diventa democratico

Ha un bell’affannarsi il Presidente della Repubblica a voler porre il suo sigillo, a garanzia della natura democratica del governo Monti.

E, in effetti, sotto il profilo della pura coerenza formale con i dettami costituzionali, questo esecutivo indubbiamente conserva il suo carattere parlamentare.
Ma ciò non può bastare a definirlo democratico. Anzi, ci pare che esso testimoni, al contrario, la grave malattia che ha colpito persino le istituzioni rappresentative di questo paese, mostrando le oscene nudità di una classe politica oramai distante dal comune sentire del paese, del tutto incapace, costretta a consegnare i suoi destini ad un manipolo di tecnocrati cresciuti nei consigli d’amministrazione del sistema bancario.

Il problema infatti non è formale.
È un problema sostanziale che riguarda il rovesciamento della volontà popolare operata dalle scelte governative.
Ci pare del tutto inaccettabile, infatti, che a pochi mesi da un referendum che ha sancito il gran rifiuto di più di venti milioni d’italiani nei confronti del nucleare e della privatizzazione dei beni Comuni, il cui paradigma è l’acqua fonte della vita, ci siano nel governo convinti nuclearisti e si punti, persino con accanimento, al risanamento dei conti pubblici attraverso la privatizzazione del patrimonio collettivo e la liberalizzazione dei servizi, mettendo a mercato ciò che resta del nostro tartassato stato sociale.
Ed anche sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori si dimentica che più di undici milioni di italiani votarono, nel 2003, addirittura per la sua estensione anche alle aziende con meno di 16 dipendenti.

Dunque un governo non è più o meno democratico a seconda di quanto risponde alle meccaniche del testo formale della Costituzione, ma per quanto riesca a rendersi interprete della volontà del popolo che pretende di governare.
Da questo punto di vita, con buona pace del Presidente Napolitano, questo esecutivo, in realtà, pare distante dal paese reale più di un alieno proveniente da pianeti sconosciuti.

Roberto Del Bello
Coordinamento Provinciale, Sinistra Ecologia Libertà

Sul ‘patto per lo sviluppo’

Se fosse accaduto qualche anno fa, forse l’avremmo salutato come l’estremo tentativo di rieditare, in Italia, un nuovo patto keinesiamo, la cui dinamica implicava che salari e produttività fossero imbricati in un ciclo virtuoso di crescita economica, di benessere, anche civile e democratico.

Ma oggi, dopo Pomigliano e la prepotente affermazione della dottrina Marchionne quale strada maestra per la cancellazione del contratto nazionale di lavoro e con essa della presenza indipendente e conflittuale del sindacato, il “patto per lo sviluppo” firmato congiuntamente da CGIL CISL e UGL ed organizzazioni imprenditoriali, prima fra tutte la Confindutria, si presenta solo come inutile e grottesca farsa.
Testimonia il senso di debolezza ed impotenza del mondo del lavoro e dell’economia reale nei confronti di quello della finanza, assume in modo depresso e patetico la fine di un ciclo, sia per il capitale sia per il lavoro ed il sindacato. La pressione delle borse, i capricci speculativi della finanza internazionale, persino il possibile fallimento della più grande potenza mondiale, sono subiti come un destino, implacabile, orientato a divorare le forze materiali del lavoro, cedendo all’ultima utopia capitalistica: il denaro che produce denaro relegando la produzione materiale di ricchezza e con essa la stessa funzione sociale del lavoro, dalla sua storica centralità, ad un posto infimo nella storia.
Allora si chiede nuovamente aiuto allo Stato e si invocano nuove politiche pubbliche, di pianificazione e fiscali, persino dismettendo la demagogia e l’enfasi del pensiero neoliberale, recitate sino alla nausea negli ultimi 25 anni, sull’esistenza inconfutabile di una presunta forza autoregolativa del mercato.

Il fatto è che nessun patto per lo sviluppo è più possibile una volta cancellata la struttura contrattualistica dei rapporti di lavoro e smantellati, in uno, rigidità e diritti dei lavoratori.
Su una composizione della forza lavoro così liquida, costellata di sacche di precarietà e sommerso, che coinvolge la stessa esistenziale percezione del futuro per un’intera generazione, è possibile pensare solo ad un’alternativa epocale e radicale all’attuale modello di sviluppo. La FIOM questo lo ha capito cercando di portare la propria battaglia sin dentro la società, la CIGL no.
La CGIL ha seguito la via più tradizionale, già siglando l’accordo con CISL e UIL che pone serie ipoteche ed un vulnus di democrazia evidente sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro, poi con questa iniziativa estemporanea e paradossale con la Confindustria.

Oramai è tempo invece di una grande vertenza sociale che ricomponga il mondo disperso e frammentato dei lavori e dei non lavori, che preveda un reddito di cittadinanza, un riconoscimento del diritto di vivere anche dove le ragioni dell’impresa producono precarietà e disoccupazione.
Questo, nel contesto della produttività globale, è possibile, basterebbe cominciare col prendere in seria considerazione una sorta d’indennizzo da far pagare a coloro i quali creano le bolle speculative e vivono sulle rendite finanziarie. Costoro non vanno temuti, piegando alle loro volizioni le politiche economiche dei governi, ma vanno affrontati e battuti nel contesto di un nuovo welfare state.
Questo ci aspetteremmo da un sindacato moderno, che sia autonomo e conflittuale, che si renda utile nella difesa di coloro che nella crisi vengono colpiti e non si abbandoni a vecchie litanie ed a patetici compromessi con chi, invece, quella crisi ha determinato ed utilizzato per abbassare la soglia dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici ed, insieme, della qualità della democrazia in questo paese.

Roberto Del Bello
Coordinamento Provinciale, Sinistra Ecologia Libertà

Una piazza per il nostro programma

il Manifesto – 25 giugno 2011
Daniela Preziosi

Intervista a Vendola (il Manifesto): Di Pietro torna il moderato delle origini. E alla fine ripropone gli incontri fra leader nelle stanze chiuse.

Di Pietro dice a Bersani di darsi una mossa e convocarvi. E a voi di Sel, Vendola, di non anteporre le primarie al programma.

Non mi piace l’atteggiamento di chi ha sempre addosso una toga e un dito puntato. Propongo a tutti una clausola di stile: evitiamo gli effetti speciali. Capisco il problema di Di Pietro: vede esaurito lo spazio della rincorsa a sinistra. E sceglie di ricollocarsi come ala destra del centrosinistra. In sostanza torna al moderatismo radicale delle origini. Intendiamoci, non è trasformismo, solo un riposizionamento. Ma è inaccettabile il modo: offre un argomento formidabile a una maggioranza allo sbando, attacca Bersani e me dicendo che non c’è l’alternativa. E propone il tema del programma nella forma più vecchia e politicistica: lui, io e il leader Pd dovremmo riunirci in una stanza per scrivere il libro del futuro?

Non ci sta?

Ma sarebbe capovolgere il significato di quello che è accaduto in Italia nelle ultime settimane. Sottrarre alla partecipazione democratica, a quel diritto di ingerenza che ha scompaginato i giochi ai referendum, l’oggetto vero del cambiamento, e cioè le scelte che devono riguardare la vita, il lavoro, la scuola, l’ambiente, la parità di genere. Facendo leva su un punto vero, il ritardo di tutti noi a mettere in campo quel processo e quel cantiere oggi maturi. Continua a leggere